
Laghi d’Italia

STRESA, VARESE, STRESA, 30 maggio 2010
Diciamolo subito: alla fine saranno 120 i chilometri.
Alto, magro, viso simpatico si ferma al primo accenno di necessità chiedendoci se siamo di Cuneo.
“Ho letto la scritta Dahü e ho pensato foste di quelle parti.” Siede a cavallo di una vecchia bici. Prima di offrirci una soluzione di percorso segue attento il dito sulla carta e le spiegazioni dell’addetto cartografo. “Ci dia la via più breve” lo incalza il Capitano. “Io appoggio la proposta del cartografo” risponde “e’ anche la mia filosofia: la più bella non sempre è la via più breve.” risponde incolonnando i prossimi paesi che andremo ad incontrare.
Fisico asciutto sorriso aperto, ci dice senza enfasi che anche lui ama la bici e che verrà presto dalle nostre parti ad un raduno del Club dei Cento Colli. Ne parla con la tranquillità con cui un altro direbbe che va tutti i giorni a prendere il pane all’angolo: il bello delle persone che dicono cose stratosferiche facendole passare per normalità.
Ci invita a seguirlo oltre il cavalcavia. Poche centinaia di metri pedalati insieme bastano per aprirci reciprocamente un breve spaccato di vita. Mentre per noi comincia una giornata di allenamento lui si ferma in casa di riposo a trovare uno dei genitori. “Sempre dritti in salita, non potete sbagliare. Buona giornata.”
Ci salutiamo in corsa mentre si accosta per entrare in un edificio affiancato ad una chiesa.
Il gruppo sfila con cautela sulle prime rampe di quella che si rivelerà essere un erta breve e mite.
Dal rugginoso ponte a due piani del Ticino siamo passati alle colline che piano piano ci sveleranno i segreti della sponda lombarda del Lago Maggiore.
L’atmosfera bucolica contrasta con le brutte scatole cementizie incontrate in precedenza.
Il vecchio lavatoio ci offre oltre la sosta anche modo di ammirare gli antichi pilastri di pietra che ne sorreggono la copertura in coppi. Un pesce finito chissà come nella vasca ci osserva curioso. Per nulla a disagio, solitario Nemo, naviga incontrastato nel suo acquario d’epoca.
Dal vascone un tubo liberty produce un getto vivace e sbarazzino che viene convogliato in una seconda vasca più piccola. Sicuramente serviva a abbeverare e ad attingere. Qualcuno fa il pieno mentre stabiliamo il percorso. Scendiamo in riva incontro al primo dei piccoli laghi che la glaciazione, qualche milione di anni or sono, ci ha lasciato.
Un gatto in attesa di una improbabile preda si stiracchia su una barca rovesciata. In aria un bianco carico di umidità ha cancellato l’iniziale cielo azzurro. Onde lente di prati ben curati ci fanno scollinare senza fatica.
Antichi specchi d’acqua intorbati segnano il lento ma inesorabile destino del territorio.
In tempi invisibili all’uomo tutto cambia.
Noi, presuntuosi narcisi, nascondiamo le nostre calvizie sotto a colorati cimieri.
Cantando “forever young” ci siamo forse illusi.
Sulla pista ciclopedonale costeggiamo altre sponde tranquille.
Molte presenze sulla terra: camminatori e ciclisti ci guidano sino alla fine del lago.
In aria, inconfondibile per la lunga coda e il volo rapido, vola a bassa quota uno sparviero. Cerca prede fra i boschi che contornano la riva.
Incrociamo una coppia, in sella ad agili mtb, che esce da una sterrata e chiediamo informazioni per il seguito del viaggio.
Le loro dritte ci evitano una salita inutile. Alcune decine di minuti e li incrociamo ancora: oggi evidentemente è il giorno delle Provvidenze. Ci invitano a seguirli e con la loro scorta pedaliamo su una strada secondaria che non avremmo altrimenti imboccato sino alle porte di Varese. Sfioriamo, forando al chilometro sessanta, la città e le spire delle sue tangenziali.
La sponda piemontese del Maggiore scompare nella aria temporalesca che preme sulle pendici di un ormai invisibile Mottarone. Un sole rabbioso ci segue fra rotonde e cartelli. L’umidità che satura l’aria si scioglie in un breve scroscio. La ricerca di una sosta pranzo ci riporta a bordo lago. Le auto salutano con i tergicristalli e l’asfalto si annerisce di pioggia quindi pausa pranzo e giusto riposo. Riprendiamo a pedalare con qualche timore per l’avvicinarsi delle nubi. Scendiamo rapidamente verso il bacino del Verbano. Sono chilometri veloci e piacevoli quelli che ci portano al traghetto. L’atmosfera temporalesca si spegne con tuoni lontani e ritorna il sereno. Un immigrato con profonda conoscenza dialettale ci avvicina mentre aspettiamo di imbarcarci. E’ un singolare segno dei tempi, non lontano dalla casa natale del padre della Lega, ascoltare il “lumbard” dalla nera voce di un possibile abitante del Ghana.
Appostati a prua del “S. Cristoforo” ci godiamo la breve crociera mentre alcuni gitanti osservano con curiosità le “Francigene”.
Vele gonfie e colorate ci accompagnano bordeggiando, segni inequivocabili di un estate non lontana.
Scendiamo a terra fra i turisti. Costeggiamo il lago e i giardini di Villa Taranto. A maggioranza, contrario il Capitano, decidiamo di affrontare il periplo del lago di Mergozzo. Pochi chilometri in più e un ottimo panorama. Festeggiamo senza apparente fatica i cento chilometri nei pressi del piccolo borgo. Al cospetto di un azzurro cielo con bianchi e ormai innocui cumuli rientriamo al punto di partenza sfilando lungo le isole e i colori del golfo Borromeo.
Oggi abbiamo pedalato fra i laghi italiani.
Domani per definire le acque incontrate, in clima di federalismo leghista, si dovrà forse scrivere “La pedalata inizia e finisce su un lago italiano passando attraverso alcuni specchi d’acqua lombardi ed uno piemontese.”
Adesso possiamo dirlo: nessuno è arrivato stanco.
Bravo il gruppo, ma oggi è Gianni il più bravo di tutti.